Mare nostrum - 1942
Mare nostrum is a long epic poem of 453 hexameter lines that Genovesi wrote in 1940 after visiting the Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare (“Triennial Exhibition of the Italian Oversea Lands”) in Naples. The title resonates within the Fascist colonial and imperialistic propaganda of the late 1930s, when control over the Mediterranean sea (mare nostrum) was considered crucial to Italy’s international leadership. In order to justify the claims of the regime on different territories around the Mediterranean, the regime used the historical example of ancient Rome and other maritime achievements from Italian history. The Mostra Triennale was part of this propaganda campaign (see Arena 2012).
In the first part of the poem (vv. 1-34), Genovesi depicts his arrival at the exhibition, describing the surrounding landscape in terms reminiscent of classical antiquity and mythology. Genovesi then turns to the exhibition itself (vv. 35-291), highlighting some of the exhibits that support Italy’s claim to the Mediterranean sea across the ages. In the third, final section (vv. 292-375), Genovesi includes a long eulogy of the regime’s victories in Ethiopia and Epirus. After a short intermezzo (vv. 376-389) which reiterates the importance of the Mediterranean for Italy, the poet picks up his eulogy of the regime and Mussolini (vv. 390-453), ending the poem on a triumphalist note. Mare nostrum was first published in Genovesi (1942b: 3-31). The poem was republished in Genovesi (1959), where the sections praising the Fascist regime were either modified or erased (resulting in a total length of 305 instead of 453 verses). Sections of this poem are analysed in Lamers and Reitz-Joosse (2016: 237-240).
Bibliography
Latin texts
Genovesi, Vittorio. 1942a. Carmina patriae. Rome: Messaggero del Sacro Cuore.
———. 1942b. Carmina. Testo latino e traduzione italiana. Rome: Messaggero del Sacro Cuore.
Other works of the author
———. 1959. Victorii Genovesi Carmina. Curante Instituto Romanis studiis provehendis. Rome: Desclée et socii.
Secondary sources
Arena, Giovanni. 2012. ‘The City of the Colonial Museum: The Forgotten Case of the Mostra d’Oltremare of Naples’. In Great Narratives of the Past Traditions and Revisions in National Museums, edited by Dominique Poulot, Felicity Bodenstein, and José Maria Lanzarote, 267-284. Linköping: Linköping University Electronic Press.
Binnebeke, Xavier van. 2020. ‘Hoeufft’s Legacy: Neo-Latin Poetry in the Archives of the Certamen poeticum Hoeufftianum(1923–1943)’. In Studies in the Latin Literature and Epigraphy of Italian Fascism. Edited by Han Lamers, Bettina Reitz-Joosse and Valerio Sanzotta, 245-325. Supplementa Humanistica Lovaniensia 46. Leuven: Leuven University Press
Corallo, Maria. 1945. La poesia latina di Vittorio Genovesi. Milan: Vita e Pensiero.
Lamers, Han and Reitz-Joosse, Bettina. 2016. ‘Lingua Lictoria: the Latin Literature of Italian Fascism’, Classical Receptions Journal 8 (2): 216-252.
Sacré, Dirk. 2020. ‘The Certamen Hoeufftianum during the ventennio fascista: An Exploration (With Unpublished Poems by Vittorio Genovesi and Giuseppe Favaro)’. In Studies in the Latin Literature and Epigraphy of Italian Fascism, edited by Han Lamers, Bettina Reitz-Joosse, and Valerio Sanzotta, 199–241. Supplementa Humanistica Lovaniensia 46. Leuven: Leuven University Press.
Nicolò Bettegazzi
AVVERTENZA
La traduzione italiana non è stata fatta a scopo letterario, ma solo per facilitare l'intelligenza del testo ai meno esercitati nella lingua latina.
A. M. D. G.
VICTORII GENOVESI S. I. HIRPINI
CARMINA
(TESTO LATINO E TRADUZIONE ITALIANA)
Tempora quae vixi
fidenter carmine dixi.
ROMA (117)
MESSAGGERO DEL SACRO CUORE
Via degli Astalli, 16
1942
IMPRIMI POTEST
Emmanuel Porta
Praepositus Prov. Rom. 8. J.
Romae, 23 Aug. 1941
Scuola Tip. «Don Luigi Guanella». San Giuseppe al Thionfale. Roma
MARE NOSTRUM
ITALICAE GENTIS IMPERII MARINI
TRIETERICA OSTENSIO NEAPOLI
IL NOSTRO MARE
L'IMPERO MARINARO ITALIANO
NELLA MOSTRA TRIENNALE D'OLTREMARE A NAPOLI
MARE NOSTRUM
______________IL NOSTRO MARE
______________TRIETERICA OSTENSIO NEAPOLI
A NAPOLI
del mondo, dove chiàmati il destino,
Itala gente, ai popoli mäestra
del dritto, donde di civil costume
per l’orbe intero folgorò la luce.
Te dall’equoreo flutto d’ogni parte
con provvido consiglio volle cinta
l’Artefice Supremo, quando prima
tracciò del mondo l’ordine ammirando,
e le tue spiagge come immenso molo
lanciò nell’onde, alle tre stirpi affine
che d’Adamo dividono la schiatta,
perchè di tutti i popoli l’approdo
qui fosse, e tu pel mar recassi loro
l’arti gentili e la verace fede.
del disegno divino, che nei fasti
scrisse, e nei sassi, memore, e nel bronzo
le glorïose gesta, Ai lidi venni,
cui la bella Partenope, impotente
a infrangere allo scoglio con l’incanto
d’Ulisse il legno, diede il nome, dove
dal sotterraneo fuoco arroventati
sono i Campi Flegrei, rifugio un giorno
e primo porto alle Latine prore.
Costrutte vidi qui superbe moli
con varïati marmi, tra le quali
ardua s’eleva la Littoria Torre,
donde l’azzurro mare si contempla,
e Capri ed Ischia e Procida vicina,
gemme del golfo; ma la vetta invano
del fumante Vesevo, dal frapposto
colle contesa, cercano gli sguardi,
di non minori meraviglie paghi.
sorta da poco con regale fasto,
cinta di olivi, verdi d’agrumeti
d’aurei pomi occhieggianti, tutta adorna
di larghe piazze e di vïali ombrosi,
di pinti fiori e di ridenti aiuole.
Con ascesa meccanica m’elevo
sull’alta torre, donde il panorama
m’indugio un poco a contemplar: le moli
marmoree ammiro e le superbe case,
e i lunghi porticati sostenuti
da colonne in bel ordine disposte,
le strade, i fòri, ed i boschetti ombrosi,
e le fontane zampillanti d’acque
e le cascate rapide scroscianti.
gli eroi caduti per la patria terra,
evocati nel mistico sacello,
nell’interno m’inoltro, desïoso
di visitarne le bellezze. Tosto
m’apparvero spettacoli stupendi,
distribuïti con fastoso lusso
nelle splendenti sale. D’ogni parte
della Latina gloria i monumenti
offronsi al guardo mio, superba mostra
d’arte e d’ingegno e di lavoro industre,
pel quale in ogni tempo glorïosa
l’Itala gente risplendè, maëstra
esperta a sottomettere con giuste
leggi gli esterni popoli, e a recare
i patrii altari nei remoti lidi.
Non può la vista sazïarsi appieno
nel contemplare tante meraviglie,
nè d’osservare tutto attentamente
l’ora fugace mi permette. Volgo
di preferenza il guardo ad ammirare
i documenti del marino impero
ch’ebbe Italia nei secoli, divisi
per ogni età con alto intendimento,
e i glorïosi allori che sul mare,
sin dagli inizi, conquistò vittrice.
del qual d’Ausonia provvido le spiagge
Iddio ricinse, cui solcar degli avi
le prore ardimentose in ogni parte,
te con drìtto or rivendica sdegnosa
a sè l’Itala gente rinnovata.
Troiano appare, che d’Italia ai lidi
rivolge il corso per voler dei fati.
E già la flotta tien l’amica spiaggia
dell’Ericino Aceste, e in dura gara
pel mar spumoso inseguonsi le prore.
Ma dal Frigio marito abbandonata
Elisa ascende furibonda il rogo,
e alla Dardania stirpe ed ai futuri
nepoti impreca. Cadon vani i voti,
poichè dall’ossa sue vendicatore
Annibale sorgendo, dei Celesti
non cangerà i decreti: alla riviera
di Cuma approda con felice corso
l’eroe Troiano, e va della Sibilla
fatidica allo speco, che lo guida
di Dite al buio regno e ai Campi Elisi,
ed ivi apprende per le età future
gli alti destini del Latino sangue.
Alfin per tanti fortunosi eventi
e perigli del mare Enea raggiunge
del Lazio i lidi: qui dal Tebro in sogno
istrutto appieno, supera del fiume
il tortüoso corso, e volge i passi
d’Evandro al tetto, primo fondatore
della Romulea Rocca, che le leggi
dettar dovea pei secoli alle genti.
Enea contempla i casolari sparsi
e i luoghi ingombri di silvestri dumi,
dove di marmi e d’or fulgente un giorno
il tempio sorgerà del Campidoglio
e il Palatin, dal qual sul vinto mondo
la Giulia gente stenderà lo scettro.
E inver gli eventi col mutar dei tempi
confermeranno dei nepoti i fati,
ch’ei sullo scudo riprodotti vide,
e in vera storia cangerassi il mito.
Mentre questo contemplo, un’altra sala
s’apre allo sguardo attonito, e la gloria
ammiro che vittrice in terra e in mare
strenua Roma con l’armi si conquista.
Ecco con arte nuova congegnate
le navi di Duilio, e le battaglie
alle Sicule rive combattute;
poi del Punico sangue rosseggianti
le Egadi pel valore di Lutazio,
e la flotta degli Afri sgominata
di nuovo al sen cui l’Ecnomo sovrasta,
da quel dì celebrato, e con immane
clade Annibale vinto presso Zama,
ed annientata al tutto finalmente
dell’emula Cartagine la possa.
Eliminato il Punico nemico
e cacciati i corsari, in ogni parte
le Itale navi solcano sicure
quel mare che nei secoli avvenire
sempre sarà chiamato MARE NOSTRO.
già veggo al guardo e l’alma n’è rapita.
Qui riprodotta miro la battaglia
nel mar d’Azio pugnata, che del mondo
diede ad Augusto l’agognato scettro,
e fu l’esordio del Romano Impero.
le glorie marinare. Ricomposta
ammiro la trireme, istrutta a prora
del navifrago rostro, ed ordinate
con gran perizia le navali carte
indicanti del mar pel dubbio corso
alle navi la rotta; e gli arsenali
alle squadre rifugio; e i porti tutti
che toccar vaghe le Latine vele.
non levò Roma? L’animo si esalta,
quando attento i superstiti vestigi
vengo osservando, sparsi ogni parte
del Romano valor. Dall’Orïente
alle onde occidue con sublime volo
le aquile tutta corrono la terra,
segue fedele la vittoria il volo.
Alle Caonie genti e alle Liburne
volsero il corso, e verso l’Ellesponto,
e al Nilo dalle sette foci, e ai Caspii
regni, ed ai Mauri, e ai Numidi, e di Leptis
Magna alle spiagge, e di Marsiglia al golfo,
ed oltre i segni dell’Ibera Calpe
tra i divisi dall’orbe andar Britanni.
già temuta rivale; la mendace
dea Neälennia cede vinta, e sola
Roma ha del mar l’incontrastato impero.
uscì la Giulia stirpe, che del mondo
ebbe lo scettro; più veracemente
venne un altro nocchier dai lidi eoi,
che reggere dovea le genti tutte
cui l’orbe accoglie, che Vicario in terra
è di Cristo e ai mortali il cielo schiude.
Quindi all’Itala gente la salvezza,
quando stridendo aquilonar procella
dall’Alpi non vietate, scosso il giogo
latino, turba barbara discese,
feroce a vendicare le alte stragi
che Mario fe’ dei padri, e infurïando
per ogni dove, depredati i campi
feraci, devastò città fiorenti,
ridusse tutto allo squallore, e fece
deserto immenso dove fu l’impero.
Ma alfin pacato il procelloso turbo,
sorge dalle barbariche rovine
rinnovellato l’Italo ardimento,
e con più lena nel suo mar discende.
che presentano in sette e sette sale
le gesta che pel mare in ogni tempo
dalla Latina gente fur compiute.
tra le Itale città, rinnovatrice,
Amalfi, prima vieni, mite aurora
dopo la notte, donde uscì il nocchiero
esperto a governar nel dubbio corso
del mare, con la bussola il timone;
e godi presentar dei naviganti
la prima carta; e alle sicane rive
disfatti i Saraceni, cui Licata
aveva prima conosciuti infesti.
che in lotta fratricida, indegno a dirsi,
ti dispogliò del conquistato onore.
Ecco infierisce e con potenti navi
infesta i nostri lidi il Saraceno,
trucida gli abitanti, o dispietato
a intolleranda servitù li danna.
Sorgono i littorani alla difesa,
non da meno degli avi, risoluti
di tutelar la patria terra e l’are.
E la Pisana flotta ardimentosa
s’avanza in alto, ed alle spiagge stesse
degli Afri spiega le vittrici vele.
Sotto il Quarto Leone insorge Roma
e dei corsari con immane strage
alla sua foce fa sanguigno il Tebro.
Le navi ascende allor la genovese
gioventù marinara, e all’infedele
Saraceno la Corsica contende:
la Corsica, cui lingua e sito e culto
gridano Itala terra, figlia avulsa
con vïolenza al grembo della madre.
sul nostro mar l’impero, vinta Pisa
con armi scellerate; per l’Egeo
veleggiano le prore, sotto i segni
del Martire San Giorgio; per lo stretto
avanzan cui di Nefele la figlia,
Elle, diè nome, e innalzano il vessillo
sull’estrema Mëotide palude.
Regina della Veneta laguna,
sposata al mare, onusta di vittorie
sull’Osmano feroce, che lontana
disperdesti dalle Itale contrade
della barbarie l’atra notte? Insulta
di Cristo l’implacabile nemico,
a già domata l’Asia e sottomesse
l’adusta Libia e le contrade Egizie,
invade pure Solima e profana,
empio, il Santo Sepolcro. Per l’Europa
alto s’eleva il grido: “Dio lo vuole!
Sorgiam, fratelli, tutti all’armi, e pèra
l’iniquo sprezzator di nostra fede!”.
Ed ecco in ogni parte unirsi a schiere
sotto l’augusto segno della croce,
gli intrepidi di Cristo eroi, frementi
di salpar d’Asia ai contrastati lidi.
Ma d’Italia la gente marinara
le navi appronta, e le milizie porta
alle spiagge di Gaza, e senza tregua
le vettovaglie per il mare appresta
ai generosi militi di Cristo;
e così di Sïonne sulle torri
di nuovo alfine risplendè vittrice
la Croce che innalzovvi il pio Goffredo.
veggo, che i padri con eccelsi fatti
nei secoli illustrar; ecco atterrate
di Bisanzio degenere le torri
dal Veneto valor; Cipro che implora
di San Marco il presidio, e per l’Egeo
e l’Adrïaco mar vittorïoso
mandar ruggiti il Veneto Leone.
a contemplar ritratta sulle tele
la memoranda impresa. Insolentisce
di sue vittorie altèro dalla Scizia
contro l’Europa il barbaro Ottomano,
e già rivolge nel feroce cuore
di soggiogare le itale contrade.
Pazzo! tra breve a tutta prova i colpi
conoscerà della virtù latina.
Nel Campidoglio regna il Quinto Pio,
che alla crociata santa d’ogni parte
chiama i fedeli, ed egli primo appronta
le navi contro il perfido nemico.
Ma dell’Europa i popoli, divide
rivalità funesta, e della fede
comune non avvertono il periglio.
Non così dell’Italia i figli, pronti
ai cenni augusti del Romano Padre.
Conscii nel cuor della virtù degli avi,
armi fremono i giovani, e di guerra
corre un grido per l’Itale contrade.
Ed ecco appresta il Ligure ammiraglio
Doria la flotta; dà le vele ai venti
Roma al comando di Colonna, e l’ire
pugnaci desta il Veneto Leone.
Ma mentre solca l’onde con potenti
navi l’armata, e nell’Iönio assale
il feroce nemico, la pia plebe,
docile del Pontefice all’invito,
innalza voti all’ara di Maria,
perchè gli eroi di Cristo assista, e cacci
lo sprezzator di nostra fe’ nel gorgo.
Accoglie i voti l’alma Madre; mosso
all’improvviso da superno lume
il Sommo Padre esclama:1 Abbiamo vinto!
Maria, presidio dell’Italia, ha vinto,
T’affretta, illustre capitano, Roma
disusata ai trionfi, già prepara
alla tua fronte il meritato alloro.
d’epico canto! Questi è Marco Polo,
che primo corse dell’Aurora i regni;
e questi del Comneno Bizantino
ultore Dandolo, e terror del Turco
tre Mocenighi, e Bragadin, l’eroe
di Cipro, ucciso con orrenda morte;
e celebrato nella Gnossia terra
il Morosino, ed ultimo campione
Angelo Emo del Veneto valore.
sommo di nostra stirpe, che sprezzati
i limiti frapposti all’ardimento
dell’uomo, primo pel negato mare
su fragil legno t’avventuri, e scopri
ignote terre e popoli vaganti
per vergini savane, cui la fede
divina ridurrà a civil costume?
Americo, ed a torto del suo nome
s’appellerà quel mondo; e Verrazano
anch’egli Tosco, che scoprì la terra
cui diè la Francia il nome; e i due Caboto
che verso il Canadà drizzar la prora
sotto i segni Britanni; e da indi smessi
i selvaggi costumi quella gente
fiorì civile, e cominciò degli Angli
rivolta ai nostri danni la potenza.
Dell’Italiano questo dunque è il fato,
che col lavoro suo straniere genti
prosperi, dalle stesse poi schernito?
qui di vinti nemici, e quanti segni
del nautico valor dei padri antichi!
Qui dell’orbe dagli ultimi confini
le riportate spoglie Italia ostenta,
di sagace ardimento illustri prove.
Essa precede pei negati flutti
col suo naviglio, e dietro lei seguaci
vengono gli altri, e di tal vanto a dritto
andrà per tutti i secoli superba.
Qui pure gli ammirandi ritrovati
m’è dato di veder che in ogni tempo
escogitò l’ingegno marinaro.
Negli arsenali nostri ognora brilla
l’arte inventrice di utili scoperte,
ed offre ad altre genti gli esemplari.
nell’onda il primo bellico naviglio
sospinto dal vapor, che incurïoso
de’ muti venti, celere s’avanza
ululando col fumido camino
su pel flutto ceruleo, precursore
dell’Itala Marina, che d’acciaio
i fianchi loricata, or pel Tirreno
muove intrepida, certa di cacciare
del nostro mare la nemica offesa.
di nostra età la storia. Quanti nomi
d’uomini illustri s’offrono allo sguardo,
uditi da fanciullo, che dei Cafri
esplorár per inospiti deserti,
per folti boschi e livide paludi,
primi le terre in lunga notte avvolte,
e pionieri arditi alle nostre armi
vittorïose aprirono la via!
Il nome tuo, tra tutti, nel mio canto
ama, Massaia, Apostolo di Cristo,
di scrivere la Musa, che coperto
di saia e di cappuccio, l’alma luce
di Roma tra gli Etiopi diffondi.
dalle patrie contrade, sotto i segni
del Re Sabaudo adunasi, ed anela
oltre i confini suoi di là dal mare
d’issar la sua bandiera. All’Eritree
aduste plaghe gli Itali coloni
salparono dapprima, desïosi
di penetrar del continente nero
ai popoli remoti; ma funesta
Adua gli sforzi generosi infrange,
che fia tra breve vendicata. Tosto
sulle spiagge dei Somali rifulge
il regale vessillo di Savoia
agli estremi dell’Africa confini,
cui flagellan dell’Indico Oceàno
i tumidi marosi, e a ricorrenti
stagioni l’Austro procelloso impregna.
urgentemente l’armi il mar che bagna
le nostre terre. Ratte di Cirene
salpan pei lidi le ferrate prore;
sui Garamanti adusti novamente
issan le insegne del Latino impero;
e fu così la quarta sponda aggiunta
alla Patria; e di biade e pingui olivi
quel suolo rifiorì sì a lungo incolto
e del deserto l’infeconda arena.
Poscia vittrice verso l’onde Egee
volge l’Itala flotta il corso, e Rodi,
difesa un dì dai prodi Giovanniti
stretti d’assedio dagli Osmani, strappa
al nemico d’Italia e della fede.
l’inarrestabil corso, e sopra l’Urbe
torna la gloria del risorto impero.
Come narrar sì fulgido trionfo
d’indomito valore degno frutto?
Cede impotente ai glorïosi fatti
la Musa, e l’alta impresa, di gran lunga,
vince lo stesso imaginoso canto.
Basisce quasi dalla fame, avvezza
alla fatica, chiusa in fini angusti,
l’Itala gente, di novelle vite
sempre feconda. Invano s’argomenta
a prosciugar pestifere paludi
e a dissodare sterili campagne;
non può la poca terra frastragliata
d’aspre giogaie, dare il pane ai figli,
e preclusi ci sono pure i campi
che ardito primo discoprì Colombo
e coltivaro gli Itali emigranti.
Che cosa resta?... Per divin comando
a tutti è aperto l’ambito del mondo!
ci chiama a riversar coi nostri aratri
le sue sodaglie. Un barbaro tiranno,
che dell’antico Salomon si vanta
tardo rampollo, stende il duro scettro
sugli Abissini, cui spietato danna
a turpe giogo; mutila (nefando
a dirsi!) i prigionieri e li trucida;
e dall’Anglo istigato, che si rode
d’invidia contro noi, s’attenta, pazzo!,
di provocarci alle armi. Sorge fiera
la giovinezza italica, ed aggiunge
stimoli d’Adua il lugubre ricordo.
Con l’onda eterea spandesi del Duce
la voce in ogni loco; i cittadini
aduna e arringa folti nelle piazze,
e come tuono echeggia in tutto il mondo.
- Presenti! - un grido unanime risponde
dai gioghi Alpini alle Sicane rive.
E senza indugio le CAMICIE NERE
sotto le insegne dei Romani Fasci
ascendono col ferro e con l’aratro
le navi, certe di strappar con l’armi
vittorïose l’agognato alloro.
Ma tutto il mondo minaccioso insorge
ai nostri danni. Adunasi a Ginevra
l’Arëopago, e calpestato il dritto
proclama burbanzoso; e schiamazzando
i magnati dei popoli, dannata
voglion l’Italia a sanzïoni inique.
Ma fiero il DUCE: - Tireremo dritto
verso la mèta! - esclama. - Nessun pensi
di poterci piegar, se duramente
non avrà pria con l’armi combattuto.
L'Itala sposa dona l’aureo anello
perchè cresca la pubblica ricchezza;
la pia plebe agli altari preci e voti
a Dio rivolge, e fieramente in armi
veglia il popolo tutto, risoluto
d’eludere il verdetto di Ginevra.
Lungi la pugna infuria; per deserti
infiammati dal sol, per giochi e balze
le nostre schiere inseguono animose
l’orde nemiche; scuotesi la terra
d’ogni parte al fragor dell’armi; ratta
fende l’etra con strepito tremendo
la macchina volante, e una procella
d’ignei dardi saëtta e globi immani,
pregni di fiamme, che, scoppianti all’urto,
scaglian dintorno grandine di piombo.
Dall'orrenda procella e dal fragore
istupiditi gli Afri, nelle grotte
van delle fiere ad appiattarsi; cade
il coraggio dai cuor; precipitoso
lo stesso re, lasciato il campo, fugge
presso il Britanno consigliere infausto.
Vittoria! Sugli Etïopi sublime
splende di Roma il glorïoso segno;
alfin la maschia gioventù fascista
d’Adua ha per sempre cancellata l’onta.
Vittoria! Va, ritirati scornato
e rodi le tue viscere, o livore.
Salve, Benito, dell’impero nostro,
fondator! questo titolo l’Italia
giusta ti dona; Roma novamente
della cesarea clamide ammantata,
ti saluta così riconoscente.
l’Epiro, affine alle Itale contrade,
dove portate per le vie dei venti
le nostre schiere vennero. Le vette
stupiron dei Cerauni, quando scesi
vider dal cielo i militi; dà plausi
a quel prodigio la Caonia prole
e volentier gli arditi eroi riceve,
mentre l’imbelle regolo, inseguito
dai Mani irati pur di Pirro, fugge.
Tosto l’Ambracia terra rifiorisce,
coltivata dagli Itali coloni;
da lunga età sepolti, dell’antico
Butrinto ricompaiono i vestigi,
e freme nuova vita. Si ridesta
negli animi infingardi l’acre studio
della fatica; ferve l’opra assidua,
perchè della barbarie dissipate
le tenebre funeste, quella terra
torni a fiorire di civil costume.
Ecco gli Itali industri alla ricerca
andar di metallifere miniere,
e cavar dalle viscere del suolo
il rame e il ferro; sale dalle rocce
trapanate l’ignifero elemento,
che del mare, e del cielo, e della terra,
muove l’armi a difesa della Patria.
Trovar la via con prospera fortuna
i fati alfine, e come avea predetto
Eleno, dell’Italia e dell’Epiro
fecero un solo popolo i nepoti.
la patria storia, di sublimi gesta
fulgente; e ricavai l’insegnamento
ch’essa spontanea, tra vicende tante,
ne porge consapevole maestra.
Il mare è vita a noi; s’adopra indarno,
chi contro i fati di cozzar s’attenta
e di mutare della storia il corso,
che, dagli inizi, impose ad ogni gente
provvido Iddio; costretta la natura
da vïolente leggi, presto o tardi
rëagisce, e il prisco ordine ritorna.
Dio con triplice mar l’Italia cinse
e impresse nel suo popolo l’istinto
d’avventurarsi pei furenti flutti.
O libera perciò del nostro mare
spazïerà per l’onde, o a turpe giogo
tosto s’affretti ad incurvare il collo.
soffrì l’Itala gente, a crudi affanni
indegnamente lunga età soggetta.
Già troppo afflitta da funeste liti,
per opra del Giudeo, gemè la terra,
istigatore bieco di rivolte.
Da quando, stolta!, abbandonò di Roma
la guida, Europa, per la quale assurse
a civiltà, zimbello d’empie sètte,
esulò pur dai popoli la pace,
costretti spesso a dar tributi esosi
per nuove armi temprar. Chi la discordia
funesta accende tra le opposte stirpi,
e a inferocir tra lor le incita sempre?
Perchè prese da trepido terrore
vivon le genti tutte, e saldi patti
non valgono a sancir d’amica pace?
Ah, perchè con la forza la natura
è da contrarie leggi contenuta.
E che dir del sacrilego attentato
contro il sepolcro che racchiuse Cristo
di gente a Dio nemica, dal divino
sangue incalzata, cui chiamò spietata
a se stessa ruina e ai figli suoi,
vita e principio di salvezza a tutti?
Basta l’aver subito sino a ora
tanta vergogna! Del Latino Mare
torni lo scettro a Roma, come Dio
con provvido consiglio pria dispose
e della storia l’alta legge impone.
Preceda guida ancora, e delle cose
il governo ripigli, perchè sorga
l’Africa pur dal barbaro letargo
e dell’antica gloria l’Asia splenda.
Ai Cristiani il Cenacolo ritorni
ed il Santo Sepolcro, che col sangue
strapparo al Turco infido, e goda alfine
così l’Europa di gioconda pace.
nel fervido pensier, la voce ascolto
del Duce ancora. Era clangor di tuba
che i cittadini convocava alle armi;
era grido di popolo fremente
pel calpestato dritto; era di lotta
ad oltranza infrenabile desìo,
e volontà sicura di vittoria.
E sugli Alpini valli incontanente
irrompono le schiere; per le arene
libiche echeggia il sonito delle armi;
nelle plaghe Etïopiche rimbomba
ed assocïato all’Italo destino
insorge il fiero popolo Epirota.
Alate cimbe guizzano nell’etra
per ogni parte, e con fiammanti bombe
abbattono di Malta le difese.
Scorrono il mar coperte di corazze
navi pregne di turbini, e da lungi
caccian fuori dall’utero tonante
ruine immani e spaventosi eccidi.
Nel gorgo immerso, affondator di navi,
il metallico guscio si nasconde,
mostro temuto dall’ostile flotta,
difficile a schivarsi; e dalla fredda
regïone dell’Orsa ai lidi eoi
per la terra, pel mare e per il cielo
rimbomba il crepitar della mitraglia
ed il lungo boato dei cannoni.
Il dì fatale è giunto; crolla al tutto
l’ordine antico, e un altro più felice
sta per sorgere ai popoli; concordi
state saldi nell’armi, o cittadini.
Già l’ora dell’Italia vincitrice
s’appressa, non più mutila di parti,
ma d’onore e di popoli accresciuta.
Cadranno infrante le barriere inique
che del mar nostro chiudonci le vie;
la Patria novamente al proprio seno
accoglierà quei figli che strappati
le fûro a forza, e libera per l’onde,
fugata la barbarie, ad altre genti
recherà leggi di civil costume,
l’alma fede di Roma, ed il divino
messaggio del Vangelo. ROMA DOMA,
ACCORTA E FORMIDABILE CON LE ARMI,
MA RENDE I VINTI POPOLI FELICI.
quando i colli di Solima, bagnati
dal divin sangue di Gesù, vedranno
garrire al vento le vittrici insegne
dell’impero Romano, ed il crociato
scudo Sabaudo rutilare al sole.
Col canto di Virgilio esalteremo
l’alte gesta, e d’Orazio con la lira
la gloria canteremo dell’impero.
Original Footnotes
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1) Aen. L. V, 114 et seg.
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2) Ib. L. IV, 624 et seg.
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3) Ib. L. IV, 756 et seg.
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4) Ib. L. VII, 31 et seg.
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5) Ib. L. VIII, 340.
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6) Ib. VIII, 626 et seg.
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7) A. 241 a. Chr. n.
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8) A. 256 a. Chr. n.
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9) A. 202 a. Chr. n.
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10) A. 67 a. Chr. n.
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11) A. 31 a. Chr. n.
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12) Innuitur in versus “tabula Amalphitana”.
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13) Le navi delle città Campane con quelle della repubblica di Amalfi vinsero i Mussulmani a Licata. (Ex Libro c. t. Guida, Triennale d’Oltremare).
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14) A. 1137 p. Chr. n.
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15) Sec. IX.
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16) A. 849 p. Chr. n.
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17) Le galee dei Genovesi si offrirono a difendere la Corsica (Guida ecc.).
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18) A. 1099.
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19) A. 1204.
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20) A. 1571.
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21) Marcus Polus (†1393) - Henricus Dandolo (†1205) - Mocenigo Alvise (1507 – 1577) - Alvise Leonardi (1583 – 1654) - Lazzarus (1624 – 1657) - Marcus Antonius Bragadin (†1571) - Franciscus Morosini (†1649) - Angelus Emo (†1786).
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22) A. 1492.
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23) A. 1512
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24) A. 1523-24.
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25) Ioannes Caboto (1525-1493) - Sebastianus Caboto (1475?-1579?).
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26) Sala XIV Ferdinando I. La prima nave di linea a vapore del mondo (Guida ecc.).
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27) Aen. III, 505.
Critical Notes
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1) escalma corrected by FLT editors