Coscienza e dovere - 1940
Al lettore,
Nell’assumere l’impegno di pubblicare il memorabile discorso pronunziato da Arnaldo Mussolini in Milano il 29 novembre 1931-X per l’inaugurazione di quella SCUOLA DI MISTICA FASCISTA che porta il nome di Italico Sandro Mussolini, tengo a dichiarare che, dal primo momento che mi fu dato l’alto incarico, l’animo mio fu compreso da profonda commozione per l’onore che mi era fatto di portare anche il mio contributo di omaggio alla sacra memoria dell’ Estinto, stampando e divulgando quello che, fra tanti suoi pregevoli discorsi, parmi si possa definire il suo testamento politico-morale alla gioventù italiana.
Esso infatti, per le grandi verità che insegna e prescrive, dev’essere anche oggi, come ieri e come domani, il vade mecum di ogni giovane fascista, degno di tal nome. Ove poi si pensi che questo discorso contiene le ultime parole che Arnaldo Mussolini pronunziò in pubblico, ventidue giorni prima della sua improvvisa dipartita, avvenuta il 21 dicembre 1931 e che nel parlare ai giovani Egli pensava al suo amatissimo Perduto, ben può dirsi che cotesto è anche il Discorso sacro a tutti i giovani Italiani, ai quali specialmente è commesso il radioso avvenire a cui la patria nostra, rinnovellata nelle potenza romana per virtù del Littorio, si avvia a passi sempre più grandi.
Ma poichè il Discorso anzidetto porta a fronte del testo italiano la traduzione latina a cui, con evidente senso fascista, si volse il prof. Frosini per farne graditissimo dono alla G. I. L. di Capodistria, noi pensiamo che sulla presente pubblicazione potrebbe anche meditare con grande profitto la gioventù di oltre i confini d’Italia e quanti altri volessero rendersi conto dello spirito e dei propositi che animano gli Italiani e delle idealità che essi perseguono nel ricordo mai tramontato della forza eterna di Roma, civilizzatrice e maestra del mondo.
Nel licenziare il presente opuscolo, ai sensi d’infinita gratitudine che pubblicamente esprime il traduttore per l’ambita autorizzazione accordata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri alla presente pubblicazione, mi onoro aggiungere anche i miei al Comando della G. I. L. di Capodistria per avermi prescelto a stampare l’opera.
RENATO PECCHIARI
È innegabile che simili interrogativi hanno, ad un esame superficiale, una importanza almeno formale. È meglio rispondere per proposizioni definite, chiare, e chiamare la logica e la storia in nostro aiuto. Bisogna innanzi tutto rilevare che questa viglie preoccupazione dei giovani è sempre stato il carattere tipico, l’impronta di nobiltà e di forza di tutti i grandi popoli nei momenti del loro maggiore sviluppo.
Noi siamo tutti elementi fattivi per collaborare a una grande opera, ma dobbiamo dimenticare a tal fine il nostro piccolo io. Il giovane che ha la smania di stampare in volume i proprî scritti e va raccogliendo elogi e recensioni, e pone il ritratto davanti al frontespizio, si perde nelle ostentazioni provinciali; il giovane che crede di affermare la propria personalità con biglietti da visita magniloquenti, che non usa il giusto tono di riguardo verso chi è suo superiore nelle gerarchie ufficiali o nelle gerarchie dell’intelletto e del lavoro; chi si abbandona alla retorica, ai giudizî avventati, alla affermazioni dilettanti: qualunque insomma manchi di stile, sarà sempre fuori dello spirito e fuori del costume fascista. Le miserie non sono degne del secolo ventesimo. Non sono degne del Fascismo. Non sono degne di voi.