Coscienza e dovere - 1940

INTRODUCTION
The following text is taken from Arnaldo Mussolini 1940. Coscienza e dovere: discorso pronunziato in Milano per l’inaugurazione della Scuola di mistica fascista. Translated by Tommaso Frosini. Capodistria: Arti grafiche R. Pecchiari. The speech was originally given by Arnaldo Mussolini, the brother of the Duce, in November 1931 as part of the opening of the new headquarters of the School of Fascist Mysticism and its renaming in honour of A. Mussolini’s late son, Sandro Italico Mussolini.
ORIGINAL INTRODUCTION

Al lettore,

Nell’assumere l’impegno di pubblicare il memorabile discorso pronunziato da Arnaldo Mussolini in Milano il 29 novembre 1931-X per l’inaugurazione di quella SCUOLA DI MISTICA FASCISTA che porta il nome di Italico Sandro Mussolini, tengo a dichiarare che, dal primo momento che mi fu dato l’alto incarico, l’animo mio fu compreso da profonda commozione per l’onore che mi era fatto di portare anche il mio contributo di omaggio alla sacra memoria dell’ Estinto, stampando e divulgando quello che, fra tanti suoi pregevoli discorsi, parmi si possa definire il suo testamento politico-morale alla gioventù italiana.

Esso infatti, per le grandi verità che insegna e prescrive, dev’essere anche oggi, come ieri e come domani, il vade mecum di ogni giovane fascista, degno di tal nome. Ove poi si pensi che questo discorso contiene le ultime parole che Arnaldo Mussolini pronunziò in pubblico, ventidue giorni prima della sua improvvisa dipartita, avvenuta il 21 dicembre 1931 e che nel parlare ai giovani Egli pensava al suo amatissimo Perduto, ben può dirsi che cotesto è anche il Discorso sacro a tutti i giovani Italiani, ai quali specialmente è commesso il radioso avvenire a cui la patria nostra, rinnovellata nelle potenza romana per virtù del Littorio, si avvia a passi sempre più grandi.

Ma poichè il Discorso anzidetto porta a fronte del testo italiano la traduzione latina a cui, con evidente senso fascista, si volse il prof. Frosini per farne graditissimo dono alla G. I. L. di Capodistria, noi pensiamo che sulla presente pubblicazione potrebbe anche meditare con grande profitto la gioventù di oltre i confini d’Italia e quanti altri volessero rendersi conto dello spirito e dei propositi che animano gli Italiani e delle idealità che essi perseguono nel ricordo mai tramontato della forza eterna di Roma, civilizzatrice e maestra del mondo.

Nel licenziare il presente opuscolo, ai sensi d’infinita gratitudine che pubblicamente esprime il traduttore per l’ambita autorizzazione accordata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri alla presente pubblicazione, mi onoro aggiungere anche i miei al Comando della G. I. L. di Capodistria per avermi prescelto a stampare l’opera.


RENATO PECCHIARI

editore             
Juvenes sodales,
Giovani Camerati!
1
Etsi mihi variis temporibus atque de rebus diversis ad populum dicenti saepenumero contigit ut, cum non ignorarem quam grave onus susciperem, nulla, ne minima quidem sollicitudine adficerer, non infitior me hanc orationem aditialem ingressurum in ea adhuc cura haerere quam, contra ac fieri solet, ex animo evellere nequiverim et praesentia haud communium audientium, et re subtili quae in disputationem vocatur, et tempore denique ipso quo mihi dicendum est.
Mi è avvenuto più volte di parlare in pubblico, in diverse vicende, su temi differenti; e pur sentendo sempre l’alta responsabilità del mio compito non ho mai provato la minima inquietudine. Debbo invece riconoscere che, contrariamente al solito, questa conferenza inaugurale mi ha tenuto e mi tiene tuttora trepidante per l’uditorio d’eccezione, per il tema delicato e per il momento in cui viene pronunciato il mio discorso.
2
Sacro enim filii mei nomine, cuius tutelae hanc scholam vestram subiecistis adducor, uti vosmet ipsi haud dubie a me exspectatis, ut vos aperto et paene dicam paterno animo adloquar, nulla asperitate itemque nulla adhibita indulgentia. Quamquam igitur dubium non est quin vos fere omnes, qui et ingenio excelso et alacri subtilique iudicio valetis, litteras iam teneatis quae ad vos pertineant, tamen illis litteris eisdem contenti saepe non estis, utpote quibus modo deprimi, modo extolli, nunquam penitus cognosci videamini, ea scilicet cognitione quam Alagherius ,,intelligentiam amoris’’ significanter appellat.
Voglio parlare a voi con cuore aperto, vorrei dire con cuore paterno. Senza asprezza, ma senza indulgenza: questo m’ispira il nome sacro sotto la cui egida avete posto la vostra Scuola: questo voi stessi, sono certo, desiderate da me. Molti fra voi uniscono alla nobiltà dell’ingegno un senso critico già acuto e aperto. Voi conoscete già una letteratura che vi riguarda e che trope volte non vi soddisfa. Vi sentite a volte umiliati o adulati, raramente conosciuti a fondo, di quella conoscenza che è, secondo la vivida espressione dell’Alighieri, ,,intelletto d’amore’’.
3
Quod cuivis nostrum sane accidere potest cum ille, quasi de via deductus, iudicium aliquod facere conatur de hominum aetate cuius primordia, uti de vestra quidem adfirmari potest, duplici usu nitantur belli et conversionis Fascibus effectae. In ea enim quae antiquitus accepta rerum progressionem leviter et fere sine sensu a cursu suo devertebant, nova civium vivedi ratio subito, tanquam proiectus ignis invasit, coniuncta cum studio quodam delendi ea ad quae prius vita hominum revocari solebat.
Si tratta di un disorientamento in cui più d’uno di noi si può trovare tentando di giudicare una generazione come la vostra, sorta dopo la duplice sperienza della guerra e della Rivoluzione fascista. Sul tessuto della tradizione, che spostava in forma impercettibile il corso della Storia, è entrato, come una vampata, il rinnovamento della Nazione a cui s’univa una certa tendenza nel distruggere le vecchie concezioni della vita.
4
Iam exigua ea quibus vita communis circumscripta tenebatur, superiorum temporum angustiis soluta, maiorem, ut ita dicam, in locum devenerunt eadem fere ratione qua nunc homines, alacrioribus mentibus usi ad ea acquirenda atque elaboranda se convertere non dubitant quae attento animo rursus perpendenda sint et ingenii iudicio subiicienda. Cum enim in hanc novam vitae rationem aetas vestra inciderit, vereor ne, si duo illa aquae sunt de conscientiae et de officii ratione vobis explicanda ipse mihi proponam, in eis insistere videar quae pro fixis iam atque obsoletis sint prorsus habenda. Quod quidem longe alite rest. Nam, cum novarum rerum, quarum cursum nihil moratur, conscientia inducimur ut nullam denegemus, tum officium minime videmus abhorrere a lege quae, usu corroborata, plane adhaereat nostrae aetatis moribus, et conscientiam ipsam qua officium nitatur, ditiorem et ad vitam aptiorem factam ex iacturis et praeclare rebus gestis inter se coalescentibus e quibus progenies vestra innata sit, novam prorsus esse.
Il piccolo mondo d’altri tempi si è dilatato, come oggi si dilata lo spirito per assorbire ad elaborare tutto quello che di nuovo s’impone all’attenzione ed all’esame critico dell’ingegno. In questa nuova atmosfera voi siete cresciuti, e, porre oggi, davanti a voi il binomio ,,coscienza e dovere’’, può sembrare voler ribattere quei principî di altri tempi, statici ed irrigiditi. Non è così. La nostra coscienza non rinnega niente del nuovo che s’avanza. Il dovere costituisce una legge che s’inquadra nel nostro secolo facendosi più forte per le nuove esperienze, e la coscienza che lo regge è coscienza nuova, resa più ricca e più vitale dal crogiolo di sacrificî e di eroismi da cui è nata la vostra generazione.
5
Sed antequam ad id procedam quod est animo propositum, non alienum mihi videtur nonnulla quae initio reservavi removere, et pauca alia explanare. Fuerunt enim qui dicerent inepte hanc vestram disciplinam fascibus consentaneam appellari mysticam, quod verbum ,,Mystica’’ cum ad id tantum significandum adhiberetur quod divini aliquid in se haberet, ab eo disiunctum et alia vi usurpatum, mentis rationes multas easque fluxas, incertas, ambiguas exprimeret. Nolite, quaeso, fidem ullam tribuere verbis quae in plures significationes trahi possint. Dixerit hîc quispiam vocem ,,mystica’’ eo ipso consilio impositam esse ut quae inter divinum et humanum spiritum, qui ab eo manaret, intercederent perspicua cuivis esse possent.
Prima di addentrarmi sul tema che mi sono prefisso, è bene eliminare alcune riserve di principio e chiarire alcune posizioni. Si è detto che la vostra Scuola di Mistica Fascista non ha il titolo appropriato. Mistica è una parola che si addice a qualche cosa di divino, e quando viene portata fuori dal campo rigidamente religioso si adatta a troppe ideologie inquiete, vaghe, indeterminate. Diffidate delle parole e soprattutto delle parole che possono avere parecchi significati. Certamente qualcuno può rispondermi che con la parola mistica si è volute porre in evidenza i rapporti necessarî fra il divino e lo spirito umano, che ne è la derivazione.
6
Huic rei non equidem repugno, ad quaestionem effugiendam quae verbis tantum continetur; cum pluris intersit, si quaerimus, non quibus verbis utamur sed qua animi adfectione ipsi moveamur. Vestra autem animorum affectio a tempore quod ruit impedimenta omnia evertens atque a criticae artis terminis longe abhorrens, minime dissident, nam ,,mystica’’ illa, quam dixi, voce, id ipsum omnino recolitur quod mente iampridem sustentatum, nunc opera vestra, iuvenes novarum rerum auctores atque lictoria fide probati, in iis quae vobis facere propositum est, immutatum et renovatum paene reviviscere videtur.
Accetto questa tesi senza indugiarmi in una questione di parole. In fondo non sono queste che contano: è lo spirito che vale. E lo spirito che vi anima è in giusta relazione al correre del tempo che non conosce dighe, nè ha limiti critici; mistica è un richiamo a una tradizione ideale che rivive trasformata e ricreata nel vostro programma di giovani fascisti rinnovatori.
7
Aliud autem praemittendum, sed ad ea quae hoc sermone consequi studeo maximi quidem momenti positum est in motu iuvenum lictorum atque in eis quae de iuvenibus multi perperam enodanda sibi proponunt. Sunt enim qui ad hunc modum loquantur: cur haec tanta virtus, cur hoc tantum roboris in iuvenibus? num ignorare se mortales omnes gradum iuventutis ascendisse? nonne in aetate quoque virili quae solida mente atque nervis corroboratis valeat, sanitatem, optimum aliquid, usum inesse? nonne denique iuvenes praeter modum extollendo paria momenta quibus aequanda sit iuvenilis atque virilis aetas omnino effluere atque ad nihilum redigi? Cum negari non possit huiuscemodi percontationes leviter aestimantibus pondus specie aliquod habere, praestat definitis et perspicuis verbis nos respondere, logica arte atque rerum gestarum memoria ad rem nostram adhibitis. Primum omnium igitur animadvertendum est omnibus populis, qui ceteris praestiterunt, in ipso suo adscensu illud fuisse peculiare et quasi nobilitatis atque roboris nota praecipua, ut iuvenibus curandis sedulam operam navarent.
Altro elemento preliminare ma fondamentale ai fini della mia lezione, è nella ragione del movimento giovanile fascista e negli interrogativi che molti si fanno parlando dei giovani. Tanti si chiedono: perchè questo valore e questa forza preminente nella vita dei giovani? Non sappiamo forse che tutta l’umanità è passata attraverso il periodo della gioventù? Non vi è forse del sano, dell’ottimo, dell’esperienza nell’età virile, quando la mente è già temprata ed i muscoli sono ben saldi? Non viene con questa sopravalutazione dei giovani alimentato uno squilibrio naturale fra giovani e anziani?

È innegabile che simili interrogativi hanno, ad un esame superficiale, una importanza almeno formale. È meglio rispondere per proposizioni definite, chiare, e chiamare la logica e la storia in nostro aiuto. Bisogna innanzi tutto rilevare che questa viglie preoccupazione dei giovani è sempre stato il carattere tipico, l’impronta di nobiltà e di forza di tutti i grandi popoli nei momenti del loro maggiore sviluppo.
8
Cuius rei Athenienses atque Romani memorabilia quidem exempla prodiderunt. Ex diversa enim educandorum iuvenum ratione, cum Athenis in mentibus eorum expoliendis, Lacedaemone autem in corporibus firmandis et voluntatibus corroborandis omne studium positum sit, colligi facile potest quantum Athenienses et Lacedaemonii cum vivendi ratione tum dispari humanitatis nota inter se discordaverint longeque fuerint diversi. Quid autem de Roma dicam? qua in urbe non modo qui consilio valuerunt aut rerum civilium peritissimi fuerunt, sed qui populis aut exercitibus quoque praefuerunt, tanta omni tempore iuvenum cura solliciti fuerunt ut dicere absurdum non sit Romanos hac universa et imperatoria humanitate, quae fuit ipsorum propria, primos docuisse qua ratione essent iuvenes educandi. Nostra quidem aetate lictorum gregariorum delectu vetus sollemne illud quo toga virilis sumebatur, nihil remittens de iis quae sint praestanda, restituitur. Consentaneum est igitur itemque ad historiae fidem necessarium apud Italos lictores nova ante omnia vivendi ratione officiisque exsequendis iuvenes erudiri quae dissona non videantur ab iis quae omnium opera summaque inter se convenientia consensuque efficiantur.
Atene e Roma hanno dato esempî indimenticabili. La diversa concezione di vita fra Ateniesi e Spartani, il diverso carattere delle due civiltà elleniche era appunto nel differente modo di risolvere il problema della gioventù: con un raffinarsi delle potenze intellettuali ad Atene, con un potenziamento fisico e volitivo a Sparta. Che dire di Roma? I giovani formarono nella Città Eterna l’assillo costante dei pensatori e dei politici, dei condottieri di popoli e dei condottieri di eserciti. Si può dire che Roma, per questo carattere della sua civiltà imperiale e universale, stabilì le basi fondamentali della educazione dei giovani. Oggi la leva fascista ripristina in tutto il suo valore di responsabilità l’antico rito solenne dell’,,assunzione della toga virile’’. È quindi naturale, e storicamente necessario, che l’Italia fascista senta, prima di ogni altra esigenza, la necessità di infondere vita nuova nella educazione dei giovani e nel loro compito, nel quadro armonico delle attività nazionali.
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Nam, licet Italorum natio antiqua et gloria sit onusta atque nobilissima rerum omnium fama reviviscere in ea videatur, tamen hac quam agimus aetate, ipsa si respiciamus quando una esse coeperit atque operae industriaeque se tradiderit, ne centum quidem anni colliguntur. Hac de causa opus maius idemque asperius hodie conamur ad nos ipsos novandos, cum neminem praetereat civitatem nostram non modo nuper in unum coaluisse, sed hoc ipsum temporibus iniquissimis effectum esse, cum aut recens haec aetas veteri repugnaret, aut partes improviso in rem publicam irrumperent, aut officia communia plures in partes digererentur, aut quaestio omnino nova quae ad omnes cives pertineret, sorte in dies gliscente, in se animos omnium attentos converteret.
Noi siamo un popolo antico e glorioso; le più alte tradizioni rivivono in noi, ma come nazione unita ed operante non abbiamo, nell’evo moderno, neanche un secolo di vita. Per questo il nostro lavoro formativo è oggi più arduo e complesso; la costituzione unitaria non è solo recente, ma si è venuta formando in tempi poco propizî nell’antitesi fra il vecchio ed il nuovo secolo, attraverso l’irrompere dei partiti politici, il frazionarsi dei doveri verso la colletività, l’imporsi – con lo sviluppo del capitalismo – di un nuovo problema, la questione sociale.
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Iniquissimis tertiae Italiae temporibus discidia maiorum in minores natu idcirco plerumque recidebant, quia nulla erat veritas quae solido fundamento fulciretur, nec adolescentibus communis mensura. Triste autem exemplum ab iis prodebatur qui rei publicae administrandae praeerant cum, ut ea missa faciam quae ad suffragia et regiones pertinent – quibus nihil absurdius aut ineptius cogitari potest – in magistratibus dandis, peculiare illud fieret ut publica studia et iustitia administranda traderentur hominibus qui sodalitati ei quae italice dicitur ,,massoneria’’ placerent aut ab ea proponerentur.
Durante il periodo grigio della terza Italia le divisioni fra gli anziani si riflettevano per solito nei quadri dei giovani. Non vi era una verità basilare; mancava un denominatore comune a tutta la gioventù. Si cominciava dal governo centrale a dare il triste esempio. A parte le considerazioni elettorali e regionali – assurde e balorde – nell’assegnazione del comando, avveniva il fatto specifico che l’istruzione pubblica e la giustizia dovevano essere amministrate da elementi graditi o proposti dalla massoneria.
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Quid autem fuerit sodalitas quam modo memoravi, ne ipse quidem dicere possum. At, cum eius fautores occulto machinati sint, nec quisquam eorum sine metu se unquam professus aut gloriatus sit ab ea stare, animus inclinat ut credam eam societatem fuisse malis artibus deditam, occultam, obscuram atque praesertim ei partium mutuo studio inservientem, quod curriculi et ad superiorem gradum adscensus specie meritum iustitiamque obscuraret. Eadem autem cum ab utilitatibus, quas consequi studebat, ad doctrinae studia se retulerat, in dicendi formas vulgo usurpatas et contra religionem adhibitas incidebat. Ad hunc motum infrenandum, qui proprius nostrorum temporum dicebatur cum esset aridus atque privatis commodis tantum prospiciens, non dubitavit Ecclesia se erigere, contrario scilicet motu. Religiosorum haec praecipua cura multa per saecula nunquam seposita, non est leviter iudicanda. Quod si quis altiore animo dubitatione. aliqua aut animi turbamento adficiatur quod quaestio de divinarum rerum scientia in se animos paene omnium potissimum convertat, non est cur templa multitudine hominum non obstipentur et omni tempore, omni saeculo, apud omnem denique populum, mystica animorum propensio ad Dei cultum pro veracissimo interprete vitae habeatur.
Cosa fosse la massoneria io non saprei proprio dirvelo. Ma dal momento ch non agiva alla luce chiara del sole e che nessuno di coloro che vi hano appartenuto ha mai avuto il coraggio di gridarlo e di gloriarsene, mi permetto di affermare che fosse una associazione obliqua, sotterranea, a finalità non chiare, e sopra tutto legata a quel reciproco favoritismo che nel nome della carriera e dell’avanzamento offusca il merito e la giustizia. Quando dai suoi fini pratici la massoneria entrava nel campo dottrinale, cadeva nelle frasi comuni dei laicismo e della lotta contro la religione cattolica. Di contro a questo movimento che si diceva moderno ed era soprattutto arido ed utilitarista, si elevava antagonista il movimento della Chiesa. Non bisogna giudicare con superficialità questo assillo millenario della vita religiosa. Se anche qualche spirito elevato può sentirsi incerto o turbato nell’imporsi del problema religioso, questo non impedisce che le chiese siano affollate e che in ogni tempo, in ogni secolo, in ogni popolo il senso mistico della vita trovi nella religione un interprete definitivo.
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Ab hoc animorum motu cum catholica fide plane congruenti, vix seiungi poterat, ut par est, motus eorum qui in re publica versabantur. Nam cum socii sodalitatis illius, quam supra memoravi, ad libertatem diffundendam eaquae peculiaria essent restitutae libertatis deformarent, factiosi autem, qui catholicae fidei adhaererent, contra obnixi nulla esse omnino contenderent, fiebat ut opposita ratione iuvenes in errorem rapti paene de via deducerentur. Atqui restitutae libertatis auctores quae via esset iure et vere ingredienda iam ostenderant, cum in unum corpus rempublicam confundendi studio efferrentur in quod congruerent una ex parte voluntates eorum qui, speciem tantum spectantes, a nullo coacti atque privatae utilitati minime inservientes, liberae rei publicae, quam sibi finxissent Mazzinius et Garibaldius faverent, altera autem ex parte voluntates eorum qui, ea quae a maioribus accepimus non obliti, sapientia usi, quaestiones omnes inter se cohaerentes, opes a summis animi virtutibus non disclusas admirati, Sabaudiae domum extollerent. Huic vero rei publicae in unum corpus redactae, quae parta erat post bella centum fere annos gesta, a recentioribus scholis nescio quam speciem universitatis gentium adfectantibus atque opera iuvenum ab opinione catholicorum non dissidentium, qui restitutae libertatis auctori bus obiciebant quod pontifices dominationibus privassent et pontificiam praesertim urbem expilassent, insidiae parabantur. Utut est, negari non potest commutatione illa rerum quae vigesimo die mensis septembris a. MDCCCLXX effecta est, Romanos gravissimo pignore se liberare non potuisse quod ab extremis rei publicae partibus in omni tempore ad medias quoque partes redire videremus et rationes ipsas quae cum ceteris nationibus intercederent in discrimen adducer. Hanc rerum ambiguam condicionem in rem suam convertebant qui in republica versabantur et qui sua anteponebant commoda omnium utilitati. Quod quidem ad iuvenum detrimentum redundabat; Italiae enim cives, qui doctrinam a maioribus acceptam sectabantur, aut rerum conversioni aut sodalitati, quam saepe memoravi, aut pontifici aut parti alicui aut cunctae rei publicae favebant, iuvenes harum rerum neglegentes a iuvenibus tamquam de via deductis secernebant: priorum, qui ab omni fastidio abhorrentes agmen ceterorum, velut is qui a Manzonio in fabulam illam Milesiam inducitur, cogebant, ut in partem aliam properarent ac peteret hostis, maior erat numerus; posteriores autem catholicorum aut popularium disciplinas sequebantur. Italiae denique, quae varietate locorum, monumentis atque urbibus praeclaris, immortali ipsius historia ad se peregrinorum animos alliciebat, et hortus semper virens habebatur, si opes respexerimus, facile omnibus persuadebitur magnitudinem eius non tanti factam quanti oporteret.
È naturale che in questo movimento spirituale cattolico s’innestasse un movimento laico politico. La massoneria deformava i caratteri del Risorgimento a scopo di propaganda libertaria. Il politicantismo cattolico per reazione lo negava. Per vie opposte si conduceva ugualmente la gioventù all’errore e al disorientamento. Eppure il Risorgimento aveva già bandita la via giusta e vera: l’unità politica italiana, che in fondo non era che il risultato di uno sforzo volitivo di due grandi correnti – una idealista, volontaria, disinteressata, espressa nella concezione repubblicana con a capo Mazzini e Garibaldi; l’altra dalla tradizione, dalla saggezza, dalla visione organica dei problem, dalla forza, coordinata da grandi virtù spirituali, della dinastia dei Savoia. Questa unità politica, conquistata attraverso quasi un secolo di lotte, era insidiata dalle scuole moderne a tinta internazionale e dalle riserve della gioventù ispirata dai cattolici, che vedevano il Ristorgimento come lo spogliatore dei dominî pontificî e particolarmente di Roma papale. È innegabile che, malgrado il venti settembre del 1870, sulla Città Eterna era rimasta una ipoteca formidabile che noi avvertivamo alla periferia e che gravava in ogni contingenza al centro e nei rapporti internazionali. Le scuole politiche e gli interessi mal confessati avevano buon gioco dal questa posizione ambigua. I giovani ne risentivano la conseguenza. L’Italia tradizionalista, rivoluzionaria, massonica o papalina, regionalista o unitaria, divideva i giovanineli assenti e negli sviati. Gli assenti erano la maggioranza, coloro cioè che non volevano avere noie e stavano come il personaggio manzoniano in coda al corteo, per vedere dovo sbandavano gli avamposti e regolarsi in conformità. Altri giovani, gli sviati, erano suddivisi fra istituzioni laiche e cattoliche. L’Italia variopinta, che aveva monumenti e città meravigliose, esercitava sullo straniero il fascino della sua storia immortale. Come nazione veniva giudicata un giardino sempre rifiorente, come potenza non era valutata nella sua giusta grandezza.
13
Brevi ut perstringam, hic erat proximis his temporibus iniquissimus rerum status, quem minime ignorant qui in litterarum studiis versantur. At Fascibus haec omnia vi quadam et celeritate quae fatales prope videantur, sublata et exstincta sunt, cum fascales homines non modo ad sanandos sed ad novandos quoque et excitandos animos conversi effecissent ut, e vetustissimo rei publicae corpore pernicie radicitus excussa, cives post quadraginta ferme annos per desidiam actos, gnavi et industrii iterum fierent. His rebus prorsus ab superioribus alienis motus omnis nisus illuc spectavit ut iuvenum curandorum ratio iniretur ad redigendam in unum corpus rem publicam eiusque potentiam augendam. Fieri enim nullo alio modo poterat ut haec nostra civitas, similis horto mollitia insigni in cuius angustis finibus ab Alpibus ad mare quadringenties bis centena milia civium agunt, cum centies passim, in omnes terrarum partes distributi, ex necessitate vitam peregre trahant, nationis potentiae manifestae, perspicuae, mediterraneae gradum ascenderet, nisi disciplinas omnes rei publiae infensas disiiceret, discidium vetus inter Ecclesiam et rem publicam reconciliaret, Italorum scholas amica aura circumfunderet, disciplinam, quae est de moribus, in novam quondam formam adduceret. Ad rem publicam in unum corpus confundendam, ad concordiam inter cives conciliandam, ad altiora animos excitandos in iuvenum tantum opera spes erat omnis collocanda. Haec est operae nostrae species optima quam quaerimus, haec cura praecipua, haec spes, haec res denique una cui Dux maxime confidit.
Questo è in breve il quadro doloroso di un recente passato ben noto agli studiosi. Il Fascismo, con una forza e una rapidità che hanno tutta l’impronta di un destino storico superiore, ha travolto queste miserie; ha sanato, rinnovato, ridestato gli animi e le coscienze. Saltando un quarantennio di inerzia, il Fascismo ha operato sul tronco millenario della stirpe. Su questa base completamente diversa dalle precedenti, il nostro movimento ha impostato, come presupposto dell’unità e della grandezza della Patria, il problema della gioventù italiana. Superate le avverse scuole politiche, ricomposto il dissidio storico fra lo Stato e la Chiesa, create un’atmosfera di simpatia alla scuola italiana, riformati i principî di etica nazionale: ecco il solo modo di trasformare questo giardino arcadico in una Nazione di potenza chiara, solare, mediterranea, che ha quarantadue milioni di abitanti entro le anguste frontiere dall’Alpi al mare ed altri dieci milioni di fratelli che il ventilabro della necessità ha disperso per il mondo. Per compiere questa azione di unità, di concordia, di fierezza, non bisognava rivolgersi che ai giovani. Questo è il tessuto ideale della nostra opera; questo è l’assillo, la Speranza, la certezza del Duce.
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Qui autem motui quem dixi eo animo interfuit quo mercedem acciperet celerius, aut vitae curriculo aut partium studio aptius consuleret, maximo in errore versatus est; nam iure praecipuo utitur qui primus omnium laborem suscipiat atque officio statisfaciat. Fascale autem regimen in eam partem omnem curam intendit ut denuo familiae firmentur, discipuli nulla mentis sollicitudine excolantur, Dei cultu animi imbuantur, ad patriam denique caritate prosequendam tamquam ad communem sedem optimam eandemque veram omnes incendantur; his enim rebus magnitudo et populi cuiusvis potentia continentur.
Se qualcuno ha pensato a questo movimento come a una corsa allo stipendio, alla carriera, all’impiego, al favoritismo, deve disingannarsi: non vi sono privilegi se non quello di dover compiere per primi la fatica e il dovere. Tutta l’opera del Fascismo ètesa a creare la solidità della famiglia, la serenità della scuola; la religione come tessuto spirituale, la Patria come mondo ideale e reale. Ecco il substrato della grandezza e della Potenza di un popolo.
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Haec in conversione a Fascalibus hominibus effecta praecipuum locum obtinent; eorum tamen agendi ratio latissime patet. Nostra enim aetate neque ex libris, quamvis sint optimi iique plurimi, neque e singulis praeceptorum disciplinis boni omnino fructus percipi possunt; cum ipsa lingua qua utimur, mondo mystica et heroa, mondo una et severa, mondo fortuita et historica, eadem ratione, eadem fide atque eodem die multitudines adloquamur oporteat. Haec est causa cur iuvenes eo consilio educentur ut ipsorum vitae cultus cum disciplina, cum officio atque consilio suscepto concinant. Oportet enim plurimorum annorum tempus quod trivimus regionum studio et vana eademque devia doctrina, nunc reciperemus.
Questa è nelle sue linee essenziali l’azione rivoluzionaria del Fascismo. Ma la sua manovra è per quadri vastissimi. Siamo in tempi in cui la buona semente non può essere affidata alla diffusione di un buon libro o ai maestri singoli. Lo stesso linguaggio mistico ed eroico, severo ed unitario, contingente e storico, bisogna che sia parlato con la stessa forma, con la stessa fede, in uno stesso giorno, alle moltitudini. Ecco la ragione delle vostre formazioni educative che fondono in sintesi compiuta l’addestramento fisico col senso della disciplina, del dovere e della fede. È necessario guadagnare secoli di storia che abbiamo perduto nei dedali del regionalismo e della vana deviazione dottrinale.
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Iam vero mihi ad ea quae praemittere placuit respondenti accidisse video ut in mediam rem necessario ipse delaberer. Labores igitur quos vobis subeunt novi lictores, magna vera et officia secum trahunt. Sunt enim virtutes quaedam dignae quae e tenebris in lucem evocentur atque corroborentur; contra autem sunt vitia quoque quae ex multiplici vitae nostrae ratione sunt prorsus eicienda. Quoniam autem legitimus motus, qui ad aetatem hanc nostram pertinent, necessario illuc evasit ut suo quisque in re publica fungendo muneriaeque satisfaceret, et quaestio de iuvenibus nostra quidem sententia, in ipsorum moribus firmandis est posita, vobis quoque, qui aetate valetis, duabus his rebus quae artissime sunt inter sese coniunctae, coscientiam dico et officium, eadem continetur.
Nell’atto stesso in cui ho risposto alle domande preliminari, sono entrato necessariamente nel cuore del nostro tema. La fatica che il Regime compie per voi implica alte verità ed alti doveri. Vi sono virtù latenti che devono affiorare e potenziarsi; vi sono difetti della nostra complessa vita di popolo che devono scomparire. La coscienza delle esigenze del nostro movimento storico implica il dovere di adeguarsi alla propria funzione nella vita nazionale. Il problema dei giovani per noi è problema di formazione salda del carattere e per voi giovani si accoglie nell’unità indissolubile di questo binomio: coscienza e dovere.
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Iam ut de iis qui sunt aetate provecti loquamur, si quum ad bellum tum ad ea quae postea evenerunt animum paulisper advertamus, gloriari quidem possumus de hominibus qui ad fatum accedunt. Sed cum ne hoc quidem satis dici possit, omnino elaborandum es ut futurum tempus nostro melius sit. Et fuerit profecto, si vos, ne pluribus agam, nobis meliores extiteritis. Non equidem moleste fero vos iudices inexorabiles et severos in rebus vel hominibus iudicandis esse, sed doleo quod sine ulla praeparatione et cognitione de eisdem nonnunquam iudicatur. Sumenda autem sunt munera vel gravia et periculorum plena moderata quadam superbia: sed cavendum illud est ne ad ea magno labore aut libidine effrenata et indomita contendamus, neve perverso mori sive de parvis rebus transigendi, sive etiam pro muneribus assequendis pugnandi acriter indulgeamus; oportet enim omnes se ducere milites ad nomina respondere paratos, non ambitionis et inanitatis genera eorumque varietates paene innumerabiles, quibus cotidie vita hominum infici solet, nullius pretii res, quas accepimus ex temporibus corruptis et remissis, sunt habendae, et tamquam obsoletae scorivae fervido igne delendae. Abiecimus quidem oppidanum vivendi genus sordidum, tenue, angustum, sed opinionis errore virtutum innumerabilium iacturam fecimus quae in urbium splendore occultae latebant.
Guardiamo per un momento gli anziani. Se per poco si considera il fatto della guerra e del dopoguerra, non si può che essere fieri della generazione che fatalmente si avvia al declino. Ma non basta: il domani deve essere migliore dell’oggi. Voi, in una parola, dovete essere migliori di noi. Non mi spiace quando vedo in voi dei giudici severi, intransigenti di cose e di persone: mi rammarico solamente quando vedo giudicare in fretta senza preparazione e conoscenza. Bisogna saper accettare con giusto orgoglio incarichi anche gravosi pieni di responsabilità, ma non bisogna darsi attorno, non bisogna smaniare per ottenere questi incarichi e indulgere al mal costume delle piccole transazioni, delle avide lotte per arrivare; bisogna considerarsi soldati pronti all’appello, ma non mai degli arrivisti e dei vanitosi. L’arrivismo e la vanità nelle loro forme, nelle infinite sfumature della vita di tutti i giorni, sono vecchie scorie che devono essere bruciate con ferro rovente come miserie ereditate da un tempo di traviamenti e di debolezza. Abbiamo abbandonato il provincialismo gretto, meschino, limitato, ma abbiamo perso, per una falsa concezione, tanta somma di energie latenti nelle luci della città.
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Fervente, ut ita dicam, temporum aestu, recentes cum novis rebus permixtae et confusae sunt; nec deest qui penitus suus quacumque ratione videri velit. Accidit autem ut litterae, quae propriae sunt aetatis mediae eamque ob rem a nostra alienae, insolent quadam fortuna in vulgus manarent. Fabulosarum enim historiarum scriptores, quorum in narrationes sapientes homines ab asceta aut errone aliquo, si licet hanc vocem optimam in partem accipere, nunquam seiuncti agentes inducebantur, his proximis temporibus aut de corruptis moribus aut e rebus levissimis ex quibus cuiuslibet nationis gentes voluptates percipiunt, scribere maluerunt. Haec omnia sine dubio tristissima quae apud exteras gentes viguerunt ad laudes ex bello detrahendas et dignitatem ipsam hominis imminuendam, in fabulam Milesiam et in thetrum nostrum etiam irrepserunt, vetere cen- sura, ab historia atque a vita aliena, suffragante. Omnino igitur danda opera es ut huic barbariae corruptae ac depravatae nos strenue opponamus, itemque sordidae cuidam invidiae quae in vita hominum deprehenditur. Neque enim vos negabitis, ut ne ipse quidem nego, Italorum esse propriam lenitatem generosam cum intelligentia coniunctam. Quivis unus de proximis ac vicinis nostris in numero familiarium a nobis habetur, eiusque vitae asperitates nostras paene ducere solemus. At si ipse, vel prospera fortuna usus, vel innata quadam virtute, vel expetendo alio quodam eventu, famam collegit gloriamque consecutus est, tum veteris Italiae cives atque etiam novae principatum illum vehementer oderunt. Quod quamvis absurdum videatur, dubitandum tamen non est quin in maximas incidat molestias is, cuius fama quodam modo percrebuerit. Quod si anna- les, censuras, concertationes, commentationes, rerum cotiadianarum locos inspexeritis, unicuique vestrum statim manifestum erit curationem iam in rei publicae disciplina adhibitam, ad ea quoque, quae arte et mente contineantur, conferendam esse. Equidem sentio vos fore nobis meliores. Fieri enim non potest ut huius aetatis iuvenes, qua eiusmodi res in quaestione versantur, quae multarum gentium et nationum intersint, aut sese imminuant aut vanitati indulgeant. Quam ob rem vel minima ex omnibus rebus quae ad habitum se gerendi pertinent, maximi momenti et ponderis est habenda apud omnes iuvenes lictoria fide probatos, ut superbiam, cuius in iuventute ipsi conscii esse debent, modum nunquam excedentem et dignitatis gradum servantem, retineant. Cum enim nullo discrimine tamquam opifices nos putemus oporteat ad magnum aliquod opus perfi- ciendum adhibitos, nostri ratio omnis est omnino neglegenda: iuvenis enim qui scriptis suis volume impletum studiosissime foras dare cupiat eoque laudes et iudicia anquirat, ipsius imagine in fronte libri impressa, oppidanum et inconditum aliquid ostentat dignitate alienum; qui porro inflates scidulis salutatories auctoritati suae consulere opinetur atque debita observantia eos qui aut honore aut doctrina aut operibus antecedent, nulla prosequatur; aut flumini inanium verborum, inconsideratis iudiciis, sententiis ineptis indulgeat; aut denique quomodo sit sibi in unaquaque re gerendum non videat; non est dubitandum quin extra cogitandi et agendi rationem fascali regimini onsentaneam omni tempore futurus sit. Quae omnia indigna sunt vigesimo hoc saeculo indigna etiam nova vivendi ratione quae a Fascibus nomen traxit; indigna denique vobismet ipsis.
Si è determinata nella febbre del tempo una confusione fra modernità e novità. Qualcuno vuol essere originale ad ogni costo. È apparsa con troppa fortuna una letteratura caratteristica dell’epoca di transizione, inadatta al tempo nostro. I romanzieri che avevano come tessuto la gente saggia nella quale si innestava sempre un scelta o un avventuriero nel senso nobile della parola, hanno scelto come soggetto in questi ultimi tempi gli squilibrî morali, i dissolvimenti interiori, la mancanza di volontà o gli aspetti più futili della vita mondana internazionale. Tristi correnti letterarie straniere dedicate alla svalutazione della guerra ed alla degenerazione della stessa dignità dell’uomo, hanno trovato eco fra noi nel romanzo e nel teatro con la complicità di una vecchia critica che è fuori della storia e della vita. Bisogna reagire contro tutta questa deviazione barbarica, e reagire si deve anche contro un gretto spirito di invidia che si rivela spesso nella nostra vita sociale. Voi non negherete, come non nego io, la qualità specifica di bontà generosa, di intelligenza del popolo italiano. Un nostro vicino non ci è mai estraneo; le sue difficoltà sono in certo senso anche le nostre. Ma se poi il vicino, per fortunate circostanze, per virtù congenita, per sopravvenienze auspicabili, prende il volo verso il cielo della notorietà e della gloria, ecco l’Italia vecchia, ed anche un po’ quella giovane, che non perdona questo segno alto della notorietà. Sembra un paradosso, ma i guai veri incominciano il giorno in cui si diventa qualcuno nella vita. Leggete le cronache, le critiche, le polemiche, le diatribe, gli articoli; capirete che è necessario guarire, come siamo guariti in politica, anche nel campo dell’arte e del pensiero. Voi, io lo sento, sarete certamente migliori di noi. La nuova generazione di fronte a problemi così vasti che interessano popoli e continenti, non può sminuirsi e sentire la smania della vanità. Le questioni di stile anche nei minimi particolari devono avere per voi una importanza singolare, essenziale. Ogni giovane fascista deve sentire la fierezza della sua gioventù, unita al senso dei proprî limiti e della propria disciplina gerarchica.

Noi siamo tutti elementi fattivi per collaborare a una grande opera, ma dobbiamo dimenticare a tal fine il nostro piccolo io. Il giovane che ha la smania di stampare in volume i proprî scritti e va raccogliendo elogi e recensioni, e pone il ritratto davanti al frontespizio, si perde nelle ostentazioni provinciali; il giovane che crede di affermare la propria personalità con biglietti da visita magniloquenti, che non usa il giusto tono di riguardo verso chi è suo superiore nelle gerarchie ufficiali o nelle gerarchie dell’intelletto e del lavoro; chi si abbandona alla retorica, ai giudizî avventati, alla affermazioni dilettanti: qualunque insomma manchi di stile, sarà sempre fuori dello spirito e fuori del costume fascista. Le miserie non sono degne del secolo ventesimo. Non sono degne del Fascismo. Non sono degne di voi.
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Confitendum autem est, ad nonnullos culpa purgandos, nonnunquam etiam maiores natu periculosam exempli imitationem prodere consuevisse. Ut exemplum afferam, magnus et illustris vir quidam, quem nominari minime opus est, venit ad me rogatum ut in ephemeridem quae ,,Populus Italiae‘‘ inscribitur referrem colloquium ab eo habitum cum diurnariis. Multa errant quae dubitatione me adficerent an illud recusarem, in quibus ea ipsa quae referenda essent; sed maximis illus precibus commotus accepi exaratum, ab his fere verbis exordium ducebat: ,,Habuimus tandem congressum cum… cuius repugnantiam multo vicimus labore; sciunt enim omnes quam ipse non inclinet ad quidlibet proferendum in lucem… “ Erat profecto hic locus subridendi, vel potius ridendi; ipse contra vehementer stomachatus sum. Vir enim insignis, per simulationem illam iniuria prorsus nulla se lectores affecturum arbitrabatur, quod ipsi omnia ignorarent. Sed mea quidem sententia vehementius ille peccavit, cum nullam de se rationem haberet. Est enim illud memoria tenendum nihil probitatis iudicio adiungere nec de ipso detrahere facinus quodlibet aut verbum aut nutum quorum fama aliqua aut nulla omnino exierit. Est enim nobis conscientia testis, quo nemo iudex severior aut inexorabilior in nos esse debet. Dixerit hic quispiam de nugis nos agere. Non est ita; quidquid enim integritatem morum laedit, gravissimum est habendum. In hanc sententiam inexorabiles, quaeso, estote, severitatem eorum secuti qui ordini divi Dominici sunt adscripti. Nolite utem neque ab officilis neque a cuiusvis generis laboribus susceptis unquam recedere; in eam autem partem omne stadium confer- tote ut imperare et oboedire pariter possitis, illud memoria tenentes non esse imperio dignum eum qui parere nesciat. Quoniam autem id quod honeste consecuti estis enixe est vobis retinendum, hinc efficitur ut onera omnia vos suscipere, virorum fortissimorum res gestas magni facere necesse sit, atque pro viris denique Italia et lictoria fide non indignis, periculi et rei cuiusvis fortuitae voluptatem quondam virile sentire. Nulla autem pulcherrima virtus quae in sanctate aut humanitate posita sit, repudianda nobis est, neve ad philosophiam quae omnia in peiorem partem interpretetur inclinandum; sed, vetere discidio illo inter voluntatem et actionem remoto, ad unumquodque optimum itemque virile et sanum tendere debemus.
Qualche volta il cattivo esempio ci viene dai meno giovani. Vi cito un esempio. Una personalità che non voglio nominare, venne ad offrirmi una intervista al Popolo d’ Italia. Ero dubbioso se accettare l’intervista per varî motivi, compreso anche il soggetto stesso della intervista, ma la sua insistenza mi vinse. Ricevetti il manoscritto che mi aveva già preparato in anticipo; incominciava presso a poco con queste parole: ,,Siamo riusciti ad ottenere una intervista dal signor X vincendo a fatica la sua riluttanza; tutti sanno come egli sia schivo dal far pubbliche dichiarazioni… “. Era il caso di sorridere, anzi di ridere. Ma io ne sentii sdegno. La persona di alto grado credeva di non mancare di rispetto ai lettori con quella finzione, per il solo fatto che i lettori non sapevano. Ma faceva di peggio: mancava di rispetto a se stesso. Bisogna ricordarsi che il fatto che una azione, una parola, un gesto, siano noti o ignoti, nulla toglie od aggiunge al loro valore morale. Noi abbiamo un testimonio nella nostra coscienza. E questo deve essere il più severo, il più inesorabile fra i nostri giudici. Qualcuno dirà: Sono piccolo cose. Non sembra: tutto quello che intacca l’ integrità del carattere è assai grave. Voi dovete essere in questo senso intransigenti, domenicani. Sitate fermi al vostro posto di dovere e di lavoro, qualunque esso sia; siate ugualmente capaci di comandare e di ubbidire. Ricordatevi che chi non sa obbedire non è degno del comando. Bisogna saper reggere saldamente su ciò che si è conquistato con rettitudine. È necessario accettare tutte le responsabilità, comprendere tutti gli eroismi, sentire come giovani italiani e fascisti la poesia maschia dell’avventura e del pericolo. Non bisogna rinnegare nessuna virtù ideale di carattere religioso e civile. La nostra filosofia non deve essere quella del pessimismo, ma del sano virile ottimismo; deve superare questa vecchia antitesi nel binomio della volontà e dell’azione.
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Denique sic est nobis vivendum ut nunquam in via, ut ita dicam, consistentes, consociata cum nostra hominum liberalium et audacium opera progrediamur, praeceptis obtemperemus et caelum suspiciamus, quia omnia nostra proxima longinqua, parva magna, fortuita aeterna, a Deo proficiscuntur atque in eo terminantur. Hîc autem non loquor de Deo vago, quem interdum ad eius magnitudinem imminuendam appellant Infinitum, Mundum, Vim, sed de Deo Domino nostro qui caelum terramque procreavit, et de Filio eius qui aliquando praemio illic adficiet homines virtutibus ornatos et remittet, uti sperandum est, vitia numero maiora quae mortalium vitae vicibus comitantur.
La nostra esistenza deve essere inquadrata in una marcia solida che sente la collaborazione della gente generosa ed audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhî fissi in alto, perchè ogni cosa nostra, vicina o lontana, piccola e grande, contingente ed eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra esistenza terrena.
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Si Italiae igitur iuvenibus voluntas firma, notiones perspicuae, flagrantia studia fuerint, eius historia facinoribus immortalitate et gloria conspicuis insignis erit. Quam ad rem cavendum est ne quid mediocriter aut turpe faciatis, neve in ulla alia re nisi in honestate fidem omnem ponatis. Quod si facietis, adversus ea quae vitari in vita non possunt, fortius vos geretis, atque ad dolores quoque subeundo, in quos forte incideritis, paratiores eritis. Nolite a veritate unquam discedere, neu liberalium virorum bonitati diffidere. Neque enim insignibus tantum horis ex vitae fide auxilium est nobis exigendum, sed ipsa oportet in negotiis quae cotidie gerimus, itemque in cuiusvis temporis rebus nobis adsit. Nihil enim fide, quae est poesi finitima, magis ad progrediendum incitat. Ut enim viribus hominum vita sustentatur, sic spe concepta eorum animi dolore fracti levantur atque ad altiora quoque incenduntur. Hac una denique ratione vitam dignam vivere, mortem item dignam obire parati mihi videntur qui omni tempore aetate florere sentiant eorumque animos his maximis veris imbutos vi-gere; his enim rebus instructos Dei gratia frui est omnino dicendum.
Se l’Italia avrà questa gioventù salda di volontà, chiara di idee, volitiva nei desiderî, la sua storia scriverà pagine immortali e gloriose. Bisogna sdegnare le vicende mediocri, non cadere mai nella volgarità, credere fermamente nel bene. Voi sarete allora anche più forti contro le avversità inevitabili della vita. Se il dolore batterà alle vostre porte, vi sentirete meglio temprati per affrontare la bufera. Abbiate vicina sempre la verità e come confidente la bontà generosa. La fede nella vita non deve essere soltanto il sussidio delle grandi ore, ma deve essere sempre presente nelle opere quotidiane, nelle azioni di ogni tempo. La fede è un incentivo a progredire; la fede è come la poesia. Sono le forze che ci spingono verso la vita, sono le speranze che consolano gli spiriti doloranti e danno alle anime le ali verso le altitudini. Sentirsi sempre giovani, pieno lo spirito di queste verità supreme, è come sentirsi in uno stato di grazia. Solo così si può essere pronti a degnamente vivere e degnamente morire.
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Hodie nobis quoque, instuaratis temporibus, recreato etiam hominum genere, stella Diana adfulsit. Libri grammatici quibus fratres nostri infelicissimi, qui alias sedes quaerebant, usi sunt ad huiuscemodi verba peregrino sermone exprimenda; ,,Sum natione italus, esurio‘‘. Fascium superbia penitus sublate sunt et delete. Nunc vox Romae maxima denuo observantia ab universis orbis terrarium gentibus auditor. His enim temporibus multa probitate conspicua apud nos locum tam excelsum obtinent, utea pro certissimo potentiae nostrae indicio habere possimus. Haec vobis, iuvenes, quae vehementi animorum ardore tamquam clarissima luce et fide quoque martirio consecrata collustrantur, huius aetatis homines qui ad interitum properant, custodienda tradunt. Equidem haud micante corde quid vobis in posterum allaturum sit tempus prospicio.
Anche per noi oggi, in questo rinnovarsi di tempi e di generazioni, è resorta la stella Diana. Le grammatiche per gli emigranti che servirono agli sventurati fratelli lontani con la traduzione di frasi di questo genere: ,,Sono italiano, ho fame‘‘, sono state distrutte da una vampata di orgoglio fascista. Il mondo oggi ascolta di nuovo con rispetto la voce di Roma. Vi sono valori morali, nella nostra vita di oggi, che rivelano gli indici sicuri della potenza. La generazione che declina li affida a voi, giovani, come un retaggio sacro. Sono illuminati da una fede ardente e da una certezza consacrata dal martirio. Io guardo con cuore fermo al vostro domani.
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Arcanis enim quibusdam consiliis, itemque de re publica et de religione privatis opinionibus hic nostrae vitae cursus fulcitur et sustentatur. Restat ut, dum vobis, iuvenes sodales, toto animo opto ut fecunda sit vestrum omnium opera, Filium meum mysticum et stoicum splendida et sancta memoria prosecutes, huius scholae quae ex mysticis rebus tradendis cum fascali doctrina concinentibus nomen accepit apud Mediolanenses lictores, annum academicum inchoatum renuntiem.
Ragioni misteriose, convinzioni politiche e religiose confortano il cammino della nostra esistenza. A voi, giovani camerati, l’augurio fervido di un lavoro fecondo, mentre, nel ricordo Luminoso e santo di mio Figlio mistico e stoico, dichiaro aperto l’anno accedemico della Scuola di Mistica Fascista del Fascio di Milano.